Un’esperienza davvero selvaggia, come scopre il Team Land Rover “Journey of Discovery” nella solitudine di questo lungo tratto della spedizione .
Su una carreggiata praticamente in rovina, melmosa e costellata di asperità, si snoda, fino all’orizzonte, una fila di autocarri vecchi e infangati. E’ ora di prendere la via del deserto.
Commutate rapidamente tutte le regolazioni delle Discovery su “full off road”: massima altezza da terra, Terrain Response su Mud e Ruts (Fango e Solchi) ed esclusione del controllo della trazione, ci lasciamo alle spalle l’ultimo camion della fila e la relativa sicurezza della rotabile per affrontare in fuori strada quel tratto di territorio selvaggio e fuori dalle mappe che ci circonda.
Comunque, con il confine uzbeko ancora piuttosto distante e le voci raccolte circa la possibile chiusura della sua frontiera entro un’ora, non abbiamo altra scelta.
C'immergiamo nella steppa desertica in uno scenario mutevole che passa dalla sabbia asciutta e compatta a buche fangose e piene d’acqua, attraverso tutte le possibili varianti intermedie. La luce del giorno che cala rapidamente rende ancora più impegnativa la scelta del percorso migliore, tenendoci in uno stato di costante allerta. Abbiamo sentito dire dalla gente del luogo che a volte possono essere necessari tre giorni per attraversare il confine….
I nostri 50 giorni di viaggio, da Birmingham a Pechino, meticolosamente pianificati, hanno una scadenza: l’arrivo della milionesima Discovery in Cina per il Motor Show di Pechino. Ritardi dovuti ai passaggi di frontiera sono stati previsti, ma mai di tre giorni!
Le prodezze delle nostre Discovery ci consentono di concludere con successo la nostra “fuga verso il confine” dove, almeno sul versante del Kazakistan, le formalità vengono espletate rapidamente. Sembra però che anche le guardie di confine di questo valico sperduto conoscano le difficoltà d'ingresso nel paese vicino.
La burocrazia sovietica dei tempi andati può anche essere un ricordo di un’epoca ormai lontana, dopo la dichiarazione d'indipendenza del Paese nel 1991, ma l’ingresso in Uzbekistan non è ancora dei più facili. In questo paese rimane ancora profondamente radicato il massimo rigore in ogni rapporto con le autorità.
E se il disadorno cartello all'uscita dal Kazakistan dice solo “Buona Fortuna”, il sorriso ironico della guardia di confine che ci saluta con la mano, fa chiaramente intendere “Adesso ve ne accorgerete.” E così è stato.
Difficilmente potevamo passare inosservati; quattro Discovery targate UK in convoglio, con la livrea sgargiante della Spedizione, equipaggi di tre diverse nazionalità, un carico di ricambi, attrezzature, radio, materiale foto-cinematografico ed abbastanza medicinali da aprire una farmacia. E così la nostra avanzata si arresta subito; e non riprende che dopo sette interminabili ore quando, alle prime luci del mattino, riusciamo a ripartire. Tutto considerato, ci è andata bene.
D’altra parte questo significa anche che stiamo entrando in Uzbekistan con un buio pesto e visibilità zero, nel pieno di una tormenta di neve. E per di più dovremo campeggiare, poiché il deserto uzbeko non prevede alberghi di alcuna categoria.
Mentre ci prepariamo mentalmente a passare una gelida notte in tenda, ad alcuni di noi viene l’idea di bussare a qualche porta per chiedere ospitalità: hanno già visitato questo territorio, parlano un po’ la lingua, e pensano che abbiamo qualche possibilità di dormire su un pavimento al coperto, grazie alla lunga tradizione di ospitalità degli Uzbeki, specie di quelli che abitano le regioni più isolate.
Un’ora più tardi siamo al riparo, in una baracca di mattoni crepati e scortecciati, con due cani, tre stanze ed un odore incredibile che proviene dalla cucina, mentre i proprietari – una famiglia di quattro persone – offrono vodka locale a quelli che non devono guidare, tè agli altri e la cena a tutti. L’edificio dall’esterno era quanto di più desolato si può immaginare nell’oscurità più selvaggia, ma all’interno il calore e l’accoglienza riservataci sono straordinari.
Ci svegliamo solo qualche ora dopo ed usciamo per fare qualche rilevamento; la tormenta non è ancora passata. Tuttavia, rinvigoriti da altro tè e dal comfort delle nostre Discovery, ci sentiamo pronti a riaffrontare il deserto.
La pista tutta solchi e paludi che funge da strada principale e sulla quale passiamo la giornata non è meno imprevedibile e difficile di altri percorsi in fuoristrada in Kazakistan - e talvolta lo è anche di più - però la neve ha smesso di cadere, è spuntato il sole ed il deserto ci appare in tutta la sua gloria, disseminato lungo la via di cammelli e capre, mentre il paesaggio bruno e polveroso inizia a riscaldarsi.
In serata siamo sul Mare di Aral. Un tempo il quarto bacino idrico più grande del mondo, oggi, con la marea che è arretrata di quaranta chilometri, si è ridotto del 90%.
In uno scenario affascinante e tragico, le imbarcazioni che un giorno fluttuavano ormeggiate alla riva giacciono arrugginite su quello che fu il fondo del bacino. Campeggiare in questo luogo senza un’anima viva nel raggio di chilometri, con il tramonto che illumina un paesaggio incantevole e ed emozionante ci rammenta, se ce ne fosse bisogno, che le cose belle della vita sono spesso le più difficili da raggiungere.
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